
La differenza tra compiere una ascesa spirituale verso l’alto ed essere folgorati da una energia che arriva dall’alto è la stessa che ci può essere tra uno scalatore che faticosamente sale verso la cima di una montagna e un pastore che viene folgorato da un fulmine mentre custodiva le pecore in aperta campagna.
Lo scalatore che sale incontra sempre più difficoltà, mano a mano si avvicina al culmine della sua impresa, ed è però cosciente che il panorama che potrà ammirare sarà eccezionale, e questa idea gli da la forza di continuare ad insistere nel suo procedere. Per contro però sa anche che quando sarà sulla cima potrà abbracciare tutto il panorama, non tutto in una volta, ma un pezzo alla volta.
Viceversa il pastore travolto dalla folgore, come prima cosa perderà ogni riferimento. Poi, essendo sopravissuto ed avendo compreso l’accaduto, resterà sempre in lui quel senso d’incapacità di dominare il fenomeno, la consapevolezza di non poterlo prevedere, l’impossibilità d’interiorizzare il tutto e di essere incapace di spiegare il tutto, soprattutto di essere stato travolto da qualche cosa che sarà per sempre più grande di lui e impossibile da definire completamente o da limitare.
Uscendo dalla perifrasi, chi ha vissuto l’esperienza di essere compenetrato da un Maestro Asceso, o da una simile energia, conosce quello stato d’incertezza che nasce dalla consapevolezza di essere sicuri di non aver mai fatto tutto il possibile, quel senso d’insufficienza, che non è umiltà, ma comprensione dei propri limiti umani, che portò Gesù sulla croce a dire “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato”. Gesù non pensa veramente di essere abbandonato, sa che sta operando nel e per il Progetto, ma è un uomo e teme di non aver fatto tutto perfettamente.
Così San Paolo, che dopo tre giorni di buio totale dei quali parleremo in seguito, dedica tutta la sua vita a svolgere il compito assegnatoli, ma sempre con l’impressione di non fare mai abbastanza, con l’incertezza legata alla conoscenza dei propri limiti e dei limiti altrui, con la sensazione di essere incapace di contenere tutta questa energia che l’ha trasformato. E purtroppo questo è vero, perché nessun uomo può illudersi di contenere tutta l’energia di un Maestro Asceso, tantomeno del Cristo.
Chi era Saul? Dice di sé: “Io sono un israelita del Seme di Adamo, della tribù di Beniamino” (Rom.11,1) “circonciso all’ottavo giorno, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo secondo la legge”(Phil.3,5).
Il nome Saul, o Saulo in romano, lo ebbe il giorno della circoncisione e deriva dall’unico re della tribù di Beniamino: Saul, che precedette Davide. Come “civis Romanus” avrebbe dovuto avere tre nomi, ma del terzo nulla ne sappiamo.
Si innamora e sposa molto giovane Maria Maddalena, anche perché nutriva in segreto la speranza di rappresentare il popolo davanti ai Romani. Non era forse l’erede di Benjamin? Il suo matrimonio con una discendente della tribù di Davide poteva aumentare il suo credito presso i Romani. Ma la loro vita si fa complicata per le loro divergenze dovute anche al fatto di essere anime gemelle e quindi con aspetti complementari vissuti troppo spesso come contrari ed opposti e così Myriam se ne andò da casa, abbandonando il tetto coniugale, contravvenendo alla Legge di Mosè e diventando una “adultera”, che però non aveva mai tradito il marito. Quando Gesù inizia la sua predicazione, gli Zeloti e una parte del popolo lo vede come il Messia delle Scritture o come il Re dei Giudei che libererà Israele.
Il Rabbì era della famiglia di David e nato a Betlemme, quindi corrispondente alle profezie come liberatore dai Romani. Ed è qui che Saul si dichiara apertamente nemico di Gesù e dei suoi seguaci: se il popolo doveva avere un re per trattare con i Romani, quello doveva essere lui. Saul non opera sino a che Gesù è vivo, ma dopo la sua proclamazione come Re e dopo la sua morte, a fronte delle parole degli Apostoli, che proclamano Gesù risorto, scatena la lotta contro questi “eretici”. Ed è proprio lui in prima fila alla lapidazione di Stefano.
Nella persecuzione che in quei giorni divampò contro i seguaci di Cristo, il rabbino Saul assunse un ruolo da protagonista,esperienza che gli lascerà amarezza in fondo al cuore per tutta la vita.
Ma mentre si reca a Damasco, con un drappello di collaboratori e lettere commendatizie del Sinedrio per aggredire i cristiani di quella città è colpito da una folgorazione improvvisa.
Gli Atti degli Apostoli narrano tre volte questo evento mettendo il racconto due volte sulla bocca di Paolo. Egli stesso vi allude ripetutamente nelle lettere e la rievocazione ribadisce sempre lo stesso concetto: Gesù gli si è manifestato e lo ha chiamato a portare il Vangelo tra le genti.
Gli storici cristiani si sono sempre interrogati sulla natura di quell’evento. Ci si domanda se si tratti di conversione, di vocazione, di rivelazione, di rinascita o meglio di nascita violenta, riferendosi a un vocabolo di Paolo stesso che si autodefinisce, in base a quell’esperienza, un aborto (1 Co 15,8), cioè un nato immaturo, fuori tempo e quindi mantenuto e conservato in vita e in azione dalla sola misericordia di Dio.
Si definisce l’ultimo fra gli apostoli, e anche questo termine gli appare eccessivo in quanto non si reputa degno nemmeno di essere apostolo perché ha perseguitato la Chiesa nascente.
È sempre nella coscienza di Paolo la memoria dell’apparizione che ha sconvolto la sua vita sulla via di Damasco: forse anche per questo gli è congeniale il gioco dei contrasti per cui mentre si proclama l’ultimo fra gli apostoli sente però di essere per grazia di Dio pari a loro, anzi di aver faticato più di loro e di aver ricevuto un dono eccezionale: Paolo è il primo stigmatizzato della storia, e questi segni che porta sul corpo gli permetteranno di riaprire il dialogo con Pietro e con gli altri Apostoli. Si tratta anche di un annuncio pubblico, quindi di una predicazione, precisa, controllata ed aderente ai fatti.
Questa testimonianza garantisce la resurrezione di Cristo come evento storico e teologico: da essa Paolo deduce la resurrezione dei morti per tutti, anche per i gentili: difatti Paolo non ha difficoltà a dimostrare a chi dubita la realtà della resurrezione. Dovendo raccontare cose inverosimili, Paolo fonda tutta la sua predicazione sulla fede nelle cose incredibili, trasformando il naturale istinto, che è la speranza, nel più cocciuto degli stati d’animo. Ma in cosa dovevano credere questi nuovi fedeli cui Paolo si rivolge? “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto quello che anch’io ho ricevuto, che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture (1 Co 15,3-4).
Ma che significato avrebbe non credere nella Resurrezione?
Senza la resurrezione, vana, cioè vuota e priva di contenuto, risulterebbe la predicazione e vana, la fede, che si regge tutta sul cardine della predicazione (Rom 10,9).
Resurrezione e Fede sono quindi intimamente correlate. E se si credesse che Gesù non fosse risorto, l’umanità sarebbe ancora nei peccati e quelli che si sono addormentati sarebbero anch’essi perduti quindi dalla negazione della resurrezione deriverebbero effetti drammatici.
Ma se invece si contrappone la prospettiva della vita conseguente l’evento della resurrezione, ogni singolo uomo ha una meta e di più tutta l’intera vicenda dell’umanità trova un significato.
Ma è necessaria l’opera dell’annuncio perché il mistero della salvezza si sveli e sia dissipata l’ignoranza e gli uomini apprendano la via dell’Amore e della Speranza.
Per questo il compito di evangelizzare incombe su di lui come un dovere:
“Guai se non evangelizzassi” (1 Co 9,16).
Per comprendere meglio il messaggio di Paolo, bisogna rendersi conto di quello che era stata la Legge, la Torà, per un fariseo zelante e dotto quale era Saul.
Il giudaismo ortodosso aveva preso alla lettera le prescrizioni mosaiche e il rabbino Saul si rapporta alla Torà con tutto l’ardore ed il puntiglio di cui è capace e attende alle prescrizioni con solerte meticolosità.
La conversione ha segnato per lui il passaggio dalla Legge a Cristo e lo ha portato a trasferire su di lui tutte le qualifiche fondamentali della Torà: vita, filo di comunicazione divina con gli uomini, principio creatore dell’universo, centro di convergenza di tutte le creature, principio di unificazione e di riconciliazione di tutti gli uomini. Tutto per Paolo si concentra in Cristo, e instaura un vincolo con lui che nemmeno la morte potrà infrangere, tale è la sua certezza della resurrezione e il credo interiore subentrato in Paolo al precetto della Torà.
Quindi il rapporto della Torà è sostituito con il rapporto con Cristo. E insieme al termine del rapporto muta anche il modo. Il riferimento alla legge era assillo della perfezione e si traduceva in norma, durezza e cavillosità e il rigore delle prescrizioni non confortava la consistenza interiore, ma acutizzava il dissidio nell’interno dell’uomo rispetto alle proprie passioni.
L’incontro con Gesù Cristo, modifica il fondamento su cui poggia la fede . Nella figura di Gesù Cristo egli prende rifugio e trova forza e ragione di vivere, e si tratta di un rapporto creativo e trasformatore. Attraverso questa relazione, l’Apostolo è compenetrato e assimilato da Gesù Cristo e ne riceve la mente e il cuore, ne condivide la passione e ne sperimenta la forza della resurrezione .
Il Cristo fa nascere in lui “L’Uomo Nuovo” e il contatto introduce Paolo nell’interno del mistero di Dio, gli svela un nuovo tratto del volto di Dio, quello del Padre quale genitore celeste che può essere invocato con la stessa espressione filiale di Gesù: “Abbà – Papà”.
Certo è che la scoperta del Cristo ha aperto a Paolo gli occhi sulle altre persone, sugli uomini suoi fratelli, oggetto dell’Amore di Dio e chiamati a rinnovare la propria dignità e il proprio destino.
L’Amore Supremo di Dio verso ogni uomo, anche se peccatore, diventa la norma del vivere cristiano. Non si renderebbe tuttavia giustizia a Paolo se non si riconoscesse in lui un filo che lo lega alla tradizione ebraica e alla fede dei padri.
Fino alla fine della sua vita, egli si è sentito Ebreo e legato alle tradizioni, né il suo passaggio alla fede in Cristo ha spento in lui la fierezza di appartenere ad una stirpe eletta per un disegno di Dio nell’umanità. L’uomo nuovo, moderno è il frutto delle antiche promesse e Cristo è il fine e l’esaurimento della Legge e attraverso di lui Dio crea una nuova alleanza con gli uomini, perché entrino in comunione con lui e tra loro e il vangelo porta nel mondo l’annuncio di questa rinnovazione liberante e si apre l’era della nuova storia in cui l’uomo rinnovato si espande in nuove relazioni con Dio, con gli uomini, con la storia e con il cosmo stesso.
Paolo dice: “tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio…” Per entrare nel regno di questa pace bisogna credere, prendere rifugio in Cristo, accettando l’offerta che Dio ha fatto a tutti.
Ma per credere è necessario conoscere.
La fede nasce dall’udire e c’è una norma scritta nel cuore, attualizzata dallo Spirito di Dio, che invita ad amare l’altro come se stesso e chi la segue riceve salvezza da parte di Dio: Paolo è fortemente persuaso che però è necessaria l’opera dell’annuncio perché il mistero della salvezza si sveli e dissipi l’ignoranza ed è per questo che adegua il messaggio alle genti che incontra, anche dando loro ciò che chiedono, anche dando una legge cui sottomettersi pur di non perderne nessuno, arrivando anche a generare il timor dell’Eterno, timore che lui stesso prova, dopo la folgorazione, in quanto prima di ogni cosa, reputa necessario temere e rispettare ciò che non sempre si ha la capacità di comprendere e l’anima che è stata ribelle ha imparato a temere una Forza più grande e usa ogni forma di linguaggio, per riprendere , comunicare e chiarire e dare annunzio del trionfo storico di Cristo, del compimento dei tempi e della fine della fase terrestre del regno, caratterizzato dal giudizio ultimo e dal ritorno glorioso di Cristo fino a non preoccuparsi della data ma della portata dell’evento che in realtà attraverso l’espressione ardente e la brama ad essere definitivamente con Cristo, quasi inavvertitamente accorcia le tappe facendo apparire imminente il suo avvento.
Se osserviamo il processo che ha portato Maria Maddalena a compiere una salita dal basso verso il Cristo e invece il processo della folgorazione che ha spinto Saul a fare un percorso dall’alto,dal Cristo, verso il basso, non possiamo non cogliere la complementarietà dell’esperienza nella vicenda di Myriam e di Saul.
Myriam si muove in ogni sua situazione attraverso un moto istintivo, una comprensione del cuore che la spinge alla ricerca di quell’emozione sottile che trapela e colpisce del messaggio di Gesù e che le consente di vedere quel Cristo che opera attraverso di lui.
Saul misura ogni esperienza con la ragione e con la mente visita e rivisita le situazioni da lui vissute nella folgorazione e dopo, al fine di fare chiarezza e trasferirla alle genti con un linguaggio deciso e chiaro che colpisce più le menti che non il cuore, trasferendo la forza della legge nelle sue parole.
Maddalena vive interiormente il dialogo con il Cristo e utilizza ogni evento, anche il più piccolo, per poter crescere ed evolvere individualmente e solo quando le viene richiesto, parla della sua esperienza e del suo incontro con Gesù e poi con Gesù Cristo, e solo quando la si cerca , trasmette tutta la gioia e la spontaneità della sua esperienza che però vive come fatto personale ed interiore.
Invece Saul attraverso la folgorazione viene violentemente immerso nella conoscenza di tutti i misteri e nell’interiorizzazione di tutte le emozioni esplose con la compenetrazione e con l’incontro con Gesù Cristo e pertanto questa incisiva conoscenza lo colloca immediatamente come mediatore tra le genti e il Cristo e ne fa l’Apostolo delle Genti, che deve portare il messaggio all’esterno e raggiungendo il maggior numero di persone possibili, allo scopo di risvegliare la verità nell’umanità. Maria Maddalena è una donna alla ricerca di sé stessa, una donna che vuole capire il senso della propria esistenza e che si muove spinta da questa intenzione e decisa a conquistare la libertà che viene solo dalla verità e dalla comprensione.
E’ una donna irrequieta che vuole conoscere e incontrare la vera vita e che si muove per non tradire sé stessa e ciò che intuisce poter essere ed è la sua smania di cercare che la porta all’incontro con Gesù.
Saul non sta cercando nulla di diverso da ciò che è. Lui vive e si muove in funzione della legge e opera nel totale rispetto e conservazione delle norme.
Ed è per questo che la folgorazione arriva a lui come atto involontario , ma determinante e categorico e modifica totalmente la sua vita attraverso un più ampio concetto di rispetto e servizio all’autorità.
E mentre Myriam vive la sua vita come una scalata al Calvario, con le sue fermate dolorose ove ogni evento resta inciso dentro e segue la strada della risalita con le sue tappe, con le sue cadute e con la crocifissione e morte di sé stessa per poter ambire alla resurrezione ad una nuova vita, Saul vive dopo la folgorazione, i tre giorni di buio, la discesa agli inferi, la perdita di ogni riferimento e l’esperienza dell’affidamento alla cieca e la conquista di una nuova luce divina che esplode nel più profondo buio interiore in cui l’essere umano brancola nell’inconsapevolezza di sé stesso.
La folgorazione di Saul può esser interpretata come atto di violenza della divinità, come necessità del creato, o come conseguenza di una serie di scelte, ma in ogni modo vogliamo leggere ed interpretare questo evento, resta una chiamata indelebile, una esperienza incisa in ogni cellula della persona che si può dire ormai modificata nella essenza.
Porcia, 22/11/06