“Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà.” (Mt. 24, 37-44)
Ci sono molte riflessioni che possono essere fatte su questa profezia di Gesù.
La prima è che risulta in evidenza questo “Figlio dell’uomo”, che sembra essere ripetuto per dimostrare che il Messia non è una entità estranea alla nostra evoluzione. Non si tratta della incarnazione di un essere che viene dalle stelle o che discende dallo Spirito universale, ma è il ritorno di qualcuno che è frutto della Terra. Ed è proprio così, se analizziamo la storia di Gesù.
Lui era un uomo, e l’ha ribadito molte volte, che dopo la resurrezione e l’ascesa in Cielo, è diventato, usando il linguaggio moderno, un Maestro Asceso. Cosa significa? Un uomo che ha sviluppato tutta la propria dimensione divina al punto di poter ascendere con il proprio corpo, ormai trasmutato in uno stato di forma diverso dal nostro. Un Maestro Asceso non vive in una dimensione diversa dalla nostra, ma ha cambiato, in anticipo rispetto al tempo lineare creato dalla nostra mente razionale, lo stato di aggregazione della materia. Questo cambiamento è ora in atto per tutti, frutto dell’evoluzione “naturale”. Come vedremo, quando questo processo sarà terminato, tutti i Maestri Ascesi torneranno sulla Terra, e Gesù, che ora è diventato Gesù-Cristo, sarà il Messia.
Quindi non un “Figlio di Dio”, ma un Figlio dell’uomo.
Gesù dice che tornerà nella Gloria. Questa affermazione deve essere presa alla lettera. Tornerà nella Gloria perché la Gloria si sarà già manifestata quando avverrà il suo ritorno. L’Apocalisse è molto chiara su questo punto. Prima discende la “Gerusalemme celeste”, poi, quando tutto è ormai terminato, arriva l’Agnello.
Di conseguenza non c’è alcun giudizio universale operato da terzi, non c’è alcun Messia che verrà a giudicare i vivi e i morti, perché, come vede Giovanni, saremo noi a giudicare noi stessi, o meglio ancora, sarà l’evoluzione naturale delle cose che determinerà chi sarà preso e chi lasciato.
Una persona mi ha mandato una bella visione avuta in sogno dove vedeva un’onda gigantesca che portava via tutto, con molte persone, da neonati a vecchi, che erano nell’acqua. Alcuni galleggiavano pacificamente, altri sprofondavano e annegavano. Si tratta di una visione simbolica? Si, in parte, ma anche di una visione reale, non nel senso che ci aspetta un nuovo diluvio universale, che ci è stato promesso che non avverrà più, ma nel senso che ci saranno molti tsunami, e sulle coste di molte parti della Terra avverrà un simile evento.
Per non essere tacciato di mancanza di concretezza storica, preciso che non c’è stato neanche nel passato un diluvio che abbia coperto tutta la Terra; quello che ci narra la Bibbia è una storia simbolica, così come l’arca di Noè è un simbolo. Lo si capisce entrando nel racconto. Visto che la decisione iniziale di Elhoim era quella di togliere ogni forma di Vita dalla Terra; l’aver salvato Noè e la sua famiglia equivale ad aver salvato la Vita sul pianeta, che viene simboleggiato con un’arca contenente tutti gli animali.
A questo punto sorge spontanea la domanda: “Quale criterio guida chi lasciare e chi prendere?”
La risposta può essere dedotta unendo la continuazione del brano iniziale con la Parabola del Re.
Qual è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l’incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto? Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così! In verità vi dico: gli affiderà l’amministrazione di tutti i suoi beni. Ma se questo servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi, arriverà il padrone quando il servo non se l’aspetta e nell’ora che non sa, lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano: e là sarà pianto e stridore di denti. (Mt. 24, 45-51)
Per comprendere questo brano non dobbiamo concentrarci su le azioni che Gesù utilizza solo come esempio, ma dobbiamo capire che la chiave risiede in quella “ipocriti” che qualifica coloro che si meritano questa punizione. Quindi il problema è collegato a quello che si è, non a quello che si fa. Questa affermazione risulta ancora più evidente dal contenuto della parabola del Re che organizza la festa di nozze per suo figlio. Prima di analizzare la parabola è bene riflettere su cosa si debba intendere per “ipocriti”. Siamo così abituati a dimenticare che c’è un Sé in noi, che riferiamo il termine solo all’incoerenza tra le azioni e le idee della mente. Ma questo non è essere ipocriti! L’ipocrisia è qualche cosa di molto più profondo, e nasce dal conflitto tra la nostra realizzazione, cioè la volontà del Sé Superiore, e le idee della mente. Cioè dal conflitto tra pensieri e idee. Le azioni sono solo la conseguenza che dipende da chi abbiamo fatto sedere al volante della nostra automobile, se la mente o il Sé.
Nella parabola che riporto ho inserito le mie note tra parentesi per facilitare la comprensione.
“Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: “Il regno dei cieli (= la realtà che otterremmo se fosse creata dai pensieri del nostro Sé divino) è simile a un re (= il Creatore) che fece un banchetto di nozze per suo figlio (= il Cristo). Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze ( = tutti i capi religiosi, i potenti), ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero (= uccisero tutte le Verità sacre, che sono i “servi” che il Re ha utilizzato nella storia per comunicare con l’umanità). Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali (buoni e cattivi). Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale (= l’abito per fare festa), gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. (= la domanda è collegata all’ipocrisia) Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”. (Mt. 22, 1-14)
I buoni e cattivi non solo vengono invitati al banchetto, ma quelli che si presentano entrano tutti, non essendoci alcun giudizio universale, come del resto ci dice Giovanni nell’Apocalisse.
La Misericordia divina non ha limiti. Coloro che si ritengono buoni, e quindi restano scandalizzati dall’affermazione che pone sullo stesso piano buoni e cattivi, dovrebbero riflettere sul fatto che proprio il sentirsi buoni è indice dell’incoerenza tra la mente e il proprio Sé.
“Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non solo il Creatore.” (Mc. 10, 17-18)
Tra i buoni e cattivi che sono entrati ce n’è però uno che non ha indossato l’abito da festa.
La potenza di questa parabola è incredibile visto ciò che sta succedendo in questo momento.
Gesù non parla di un cambiamento interiore, ma si riferisce proprio all’aver cambiato l’abito, avendo indossato quello giusto per poter partecipare alla festa. Cos’è l’abito per noi? È il nostro corpo, quindi avere indossato un nuovo abito vuol dire essere riusciti a mutare il nostro corpo in funzione del cambiamento della struttura della materia che è in atto in questi giorni. Non c’è quindi alcun giudizio, ma la conseguenza di una legge naturale che fa il suo corso.
L’ipocrisia diviene l’incapacità di mantenere la coerenza tra il divino che è in noi e le nostre idee, e questo è valido non solo in termini personali ma anche a livello collettivo. Quello che accadrà in alcune zone del mondo dipende dalla coscienza collettiva e da come questa resterà allineata al cambiamento che è in atto. Alcuni parlano dello sgretolamento del Giappone, altri della California che sprofonda, altri di una grande onda che si creerà nell’oceano Atlantico e inonderà un parte degli Stati Uniti. Tutte queste previsioni vanno viste secondo l’ottica suddetta. Nessun giudizio, ma l’opera della Natura che fa il suo corso di Amore incondizionato. Ciascuno di noi sarà al momento giusto nel posto giusto.
L’umanità avrebbe dovuto creare una sola razza a partire dalle quattro derivanti dall’opera dei genetisti cosmici e dai superstiti di Malona, che in epoca successiva erano arrivati sulla Terra. Questo non è avvenuto, anzi ancora oggi assistiamo a grandi conflitti di tipo razziale. Però la Natura è molto più forte di noi ed è amorevole, quindi ci sta portando a compiere questa opera, sintetizzata in “andate e moltiplicatevi”, attraverso la sua evoluzione.
La speciazione che è in atto riguarda quindi la capacità di cambiare abito, ed è per questo che ho concentrato tutta la mia attenzione a ciò che può permetterci di riattivare l’immortalità del nostro corpo. Non si tratta di una azione egoistica, ma della necessità di riallineare l’abito alla nostra realtà divina, perché tutte le nostre cellule devono conformarsi alla volontà del nostro Sé Superiore. Questa è la sintesi finale che risponde ad entrambe le affermazioni fatte da Gesù. Più volte ripete che molti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti, non come una minaccia, ma come un invito alla consapevolezza che è necessario operare con forza per prepararsi al cambiamento. Dall’altra parte afferma che la salvezza non è legata all’essere buoni o cattivi, ma consiste nell’aver cambiato abito. Le due affermazioni messe insieme portano alla conclusione logica che la cosa più importante oggi é aver riattivato la propria immortalità come necessità per continuare il percorso evolutivo.
Gian Piero Abbate
Pordenone, 22/12/16