Il grande inganno della crisi

di Gian Piero Abbate

La riserva monetaria è la quantità di metallo prezioso che chi emette la moneta dovrebbe tenere come controvalore reale della “carta” messa in circolazione. Ho usato il condizionale perché da tempo è stato tolto il vincolo di rapporto tra moneta circolante e riserva monetaria, il che significa che i soldi sono per buona parte carta straccia. Siccome però i soldi hanno un loro valore reale, detto potere d’acquisto, la mancata corrispondenza con la riserva significa anche che chi batte moneta si arricchisce in funzione di quanta “carta straccia” mette in circolazione.

Visto che l’oro resta il metallo più prezioso, normalmente la riserva monetaria è detta riserva aurea. Se compariamo le riserve auree dei vari Stati a livello mondiale, in valore assoluto, scopriamo che l’Italia è al terzo posto, dopo Stati Uniti e Germania. Però se la comparazione la facciamo in modo relativo, ad esempio rispetto al PIL, scopriamo che siamo al primo posto, il paese più ricco del mondo.

Dov’è tutto questo oro? Bene, circa un quarto lo detiene lo Stato, ma circa tre quarti è nelle riserve internazionali, cioè è depositato nelle “Banche Centrali”, cioè per noi nella Banca d’Italia, che nonostante il nome, non è dello Stato italiano, che ne detiene una piccola parte attraverso l’INPS, ma è privata. Questo significa che il nostro oro lo abbiamo dato e continuiamo a darlo “gratis” ai proprietari della Banca d’Italia.

In realtà la cosa è più complessa, perché nel gioco entrano anche le altre Banche Centrali, ad esempio quella tedesca o quelle sovranazionali, ma questo non cambia la sostanza.

Smontato il primo inganno, e cioè che siamo un Paese povero, vediamo però se siamo ricchi, ma pieni di debiti.

Supponiamo che l’Italia sia una famiglia, con padre e madre e numerosi figli. Questi vanno dai genitori e chiedono i soldi per comparsi l’auto, dicendo: “Dammi i soldi, che poi te li restituisco un po’ alla volta”. I genitori prestano ad alcuni figli i soldi necessari: questo si chiama debito interno, cioè è il debito dei cittadini verso lo Stato. Però arrivano gli altri figli a chiedere la stessa cosa, ma i genitori hanno finito i soldi. Allora vanno in Banca e dicono la stessa cosa. E la Banca presta loro i soldi, con un mutuo, dicendo però: “Ti do i soldi, ma tu me li devi restituire con gl’interessi ed inoltre voglio delle garanzie”. Questo, a livello nazionale, si chiama debito estero.

Perché si crea il debito interno? Perché lo Stato eroga tutta una serie di servizi costosi, come la Scuola, la Sanità, la Giustizia, ma non ricava dai cittadini abbastanza soldi per pagare il tutto, così i cittadini diventano debitori. Ma da qualche parte i soldi devono saltare fuori, e allora lo Stato ricorre a prestiti internazionali.

La somma di tutti i debiti si chiama “debito pubblico”. Tutti sanno che il nostro debito pubblico continua a crescere rispetto alla nostra capacità di produrre ricchezza, misurata dal PIL. Però com’è la composizione di questo debito? Il 56% è debito interno, il 44% è debito estero.

Quindi la prima considerazione è che il 56% del debito è solo un problema interno, che si potrebbe risolvere facilmente, ricordandoci che siamo una unica famiglia, ma questo non è possibile, perché il debito non è dello Stato con se stesso, ma dello Stato con la Banca d’Italia, cioè con pochi privati che vogliono speculare su questi soldi, a scapito di tutti gli altri italiani.

Ma cosa significa un 44% di debito estero, rispetto agli altri Paesi. Se rapportiamo il debito estero rispetto al PIL, in Italia è il 58%, mentre negli USA è il 95%, in Germania il 160%. Meglio di noi, tra i paesi industrializzati, è il Giappone, con un 35%. Questo però significa che il nostro debito estero “pesa poco”, ed è sostenibile. Se poi lo rapportiamo alla popolazione, in Italia è pari a 18 mila $ pro capite, mentre negli USA è 42 mila €, in Germania 54 mila €, in Giappone solo 4 mila €. C’è, tra gl’industrializzati, chi sta molto peggio di noi, come ad esempio il Regno Unito, dove i cittadini nascono con un debito di 175 mila $.

Da questi dati è facile capire come ancora una volta si riconferma che non solo siamo ricchi, ma siamo, proporzionalmente molto poco indebitati con l’estero, che poi è il vero debito.

Infine dobbiamo tener conto che le materie prime non sono più il parametro per giudicare la ricchezza di uno Stato. Quando andavo alle elementari mi è stato insegnato che l’Italia è un paese povero perché non ha materie prime nel suo sottosuolo. Allora forse poteva essere un’affermazione reale, ma oggi viviamo in una società che è passata dall’economia alla finanza, e questo è stato un cambiamento a nostro favore, almeno inizialmente, vista la nostra nota propensione al risparmio. Purtroppo qualcuno però ha deciso di toglierci i soldi dalle nostre tasche per metterli nelle sue, e quindi ha continuato a dirci che siamo un Paese povero.

Bisogna chiarire la differenza tra economia e finanza. Nel passato il capitale veniva impiegato per produrre, con un processo economico dove agli operai era pagato un salario per acquistare dei beni, per buona parte da loro prodotti, che avevano un valore aggiunto, e quindi ogni volta un po’ più di soldi per chi deteneva le fabbriche, dove con questi guadagni l’imprenditore in parte si arricchiva e in parte l’investiva in nuove produzioni o in ammodernamenti di quelle esistenti. Questo era il mondo dell’economia, dove i soldi erano solo un mezzo di scambio.

Questo ciclo è ancora in atto, ma il suo peso è sempre meno, perché oggi la finanza vuole dettare legge. In pratica i capitalisti vogliono autogestirsi, a prescindere dal produrre, e quindi i capitali vengono usati per influenzare gli scambi di moneta e speculare sui mercati. Il capitale genera se stesso. Il denaro, figlio della merce, si è ribellato a sua madre, e una madre ormai troppo vecchia e irrigidita non può far nulla contro una figlia ribelle.

Tutto questo grazie alla “deregulation”, che ha smantellato lo Stato sociale, in tutto il Mondo, e così anche l’Italia non solo non è più una grande famiglia, ma non è neppure uno Stato di diritto. 

Ormai siamo una provincia dell’impero che parla un dialetto chiamato italiano.

Ai tempi dei romani il latino era la lingua parlata da chi contava, oggi è l’inglese.

Ma qual’é questo impero di lingua inglese? Quali i suoi confini?

Quando ero giovane e scendevo in piazza, con tanti altri coetanei, a protestare, la lotta era tra l’impero americano e quello russo, e questa cosa l’avevo capita bene, non schierandomi né da una parte, né dall’altra, ma cercando una via all’autonomia italiana. 

Oggi l’impero è globale, e include USA, Russia, Cina e ogni altro stato. È l’effetto della “globalizzazione”.

Anche i paesi che tradizionalmente usavano altre lingue si sono convertiti all’inglese. Un buon esempio è la Russia, dove chi contava parlava il russo e le persone colte parlavano il francese, e oggi tutti si sono convertiti all’inglese.

Ma allora, in questo impero globale, dominato dalla finanza, chi controlla il mondo?

Non i più ricchi, come magari verrebbe spontaneo pensare. Un esempio per tutti: gli sceicchi arabi si sono arricchiti moltissimo grazie al petrolio, ma essendo furbi non hanno tentato la scalata al potere. Anzi, quando qualche loro figlio, come Bin Laden, ha deciso di utilizzare le ricchezze per scopi di potere, è stato immediatamente ripudiato e allontanato. Essere ricchi è una condizione necessaria, ma non sufficiente per avere il potere globale.

Una volta, nel mondo dell’economia, il potere lo aveva chi controllava i mezzi di produzione, perché la ricchezza si creava in fabbrica.

Oggi le circa 200 famiglie che controllano il mondo non solo sono ricche, non solo spesso controllano i mezzi di produzione, anche se ultimamente tendono a sbarazzarsene, ma soprattutto controllano la fabbrica della ricchezza. Ma qual è la fabbrica della ricchezza nel mondo della finanza?

Abbiamo detto che la finanza vuole influenzare gli scambi di moneta e speculare sui mercati, quindi la fabbrica della ricchezza è ogni luogo dove avvengono questi scambi, dalle Banche alle Borse.

Per le Banche la manovra in atto è impossessarsi di tutte le Banche pubbliche, in particolare di quelle “centrali”, e questo in Italia è già stato fatto, come nella maggior parte degli altri Stati. Delle Borse non si può impossessarsi, ma gli scambi possono essere fortemente influenzati, attraverso i mezzi d’opinione. Quindi il secondo obiettivo è impossessarsi dei mezzi d’opinione, dalla stampa alla televisione a internet.

Ma allora la crisi esiste? Andate a chiederlo ai giovani che non trovano lavoro, oppure alle famiglie che sempre più non arrivano alla fine del mese. Andate voi perché io non ne ho il coraggio …

Ma proprio qui scatta l’inganno: subiamo le conseguenze di ciò che non c’é. E poi, perché deve esistere una crisi in Italia, se siamo così ricchi? La risposta è semplice, e non è di tipo economico o finanziario.

L’obiettivo finale delle 200 famiglie è il controllo totale, e la crisi serve a raggiungerlo. Non è quindi solo funzionale a processi d’arricchimento, ma serve soprattutto a incutere paura.

Cosa significa avere il controllo totale nel villaggio globale? Significa avere il controllo finanziario, il controllo economico e il controllo spirituale. Gli strumenti operativi sono il controllo dei mezzi d’informazione, dei mezzi di scambio e, in parte, dei mezzi di produzione. I metodi adottati sono sostanzialmente due: quello della rana bollita e il metodo PRS (Problem – Reaction – Solution).

Se gettate una rana in una pentola di acqua calda, appena sfiorata l’acqua la rana balzerà fuori indenne. Ma se mettete una rana dentro una pentola d’acqua fredda sul fuoco, ma mano che la temperatura cresce la rana si sentirà a suo agio, si rilasserà, e quando l’acqua diventerà troppo calda non avrà più la forza di saltare fuori, finendo bollita. È quello che stanno facendo con noi. Siamo dentro un sistema, che ogni tanto libera ad arte alcune informazioni apparentemente per farci scoprire delle sue contraddizioni, ma in realtà per farci sentire liberi e non farci saltare fuori, e così finiremo bolliti, senza rendercene conto.

Il metodo PRS è molto ben analizzato nel libro “New World War” di Mark Rich, pubblicato in internet.

Consiste nel creare problemi in modo artificiale. In fin dei conti anche il terrorismo, almeno in parte, è uno di questi, e la stessa crisi. Poi, a fronte del falso problema, c’è una inevitabile reazione dell’opinione pubblica. A questo punto interviene la “regia”, nelle sue vari sembianze, e impone una soluzione, apparentemente per il ben comune, in realtà per gl’interessi di pochi, delle 200 famiglie. 

Esiste un modo per ribaltare il sistema? In linea teorica si, perché loro non possono fare nulla senza di noi.

Tra l’altro la scienza ha già dimostrato che non serve essere tutti, né essere in tanti.

Se usiamo la forza del pensiero, anzi quella delle intenzioni, la massa critica di cui abbiamo bisogno è solo la radice quadrata del 1% delle persone coinvolte nel fenomeno. Se il fenomeno è globale coinvolge 7 miliardi di persone, il che significa che basterebbero 8.400 individui che pensassero simultaneamente a ribaltare il sistema, e questo cambierebbe. Il problema è che non basta essere nella stessa barca, e neppure remare assieme, ma è necessario remare in sincronia, e questo è difficile da ottenere. Lo sanno molto bene i militari, che stanno sperimentando queste tecniche.

Quindi è meglio che ciascuno inizi a lavorare su se stesso, a partire dal liberarsi dalle paure e dall’inganno.

Liberarsi dalle paure ed essere se stessi vanno di pari passo, ma bisogna capire chi siamo.

In questo processo ci viene in aiuto Antony De Mello, con un libro intitolato “Messaggio ad un’aquila che si crede un pollo”, che come al solito non ho letto, ma ne conosco il contenuto sommario.

Il libro racconta la storia di un uovo d’aquila finito in mezzo a uova di gallina. L’aquilotto, crescendo in mezzo a dei pulcini, si crede un pollo, finché un giorno, alzando gli occhi al cielo, vede un maestoso uccello volare in alto. Allora chiede agli altri polli cosa sia, e gli viene detto che quella è un’aquila, la regina degli uccelli, che vola in alto, l’unico uccello che può guardare direttamente il Sole. Il nostro aquilotto ne resta ammirato, ma non trova il coraggio di spiccare il volo, perché si pensa pollo, e così resta in mezzo ai polli a cercare vermi nel terreno.

Ecco, ho l’impressione che spesso noi siamo delle aquile che si credono polli. Invece siamo aquile, fatte per volare, libere nel cielo, e guardando il Sole in faccia.

Per fare questo non basta la consapevolezza di chi siamo, ma ci vuole anche l’amore per il volo.

Essere se stessi essendo Amore. È l’Amore che ci dona l’energia per volare. Perché ormai è chiaro persino ai fisici che quella “forza debole” che tiene assieme tutta la materia dell’Universo è una energia che si chiama “Amore”.

E visto che tutti noi, pur percependoci come un corpo, siamo anche una energia, se amiamo, se siamo “Amore”, allora riusciamo a volare, senza bisogno di alcun maestro.

Pordenone, 07/10/2012