Un brivido lungo la schiena (1999)

Evitata la catastrofe nucleare con il sacrificio di 18 volontari

Tre lavoratori stanno spostando del materiale da un deposito a dei contenitori. Sanno che il materiale è pericoloso, sanno che è radioattivo, ma forse non sanno che potrebbe “esplodere”: “L’uranio non esplode, non è mica dinamite!”.

Occupa poco spazio, ma pesa abbastanza, però è facilmente maneggevole; le procedure direbbero di utilizzare l’apposita attrezzatura, ma perché perdere così tanto tempo, a mano si fa prima.

Bisogna caricare il materiale in un contenitore dove sarà immesso successivamente dell’esfloruro di uranio, un gas fortemente radioattivo, per ottenere dell’uranio altamente arricchito, in polvere, sotto forma di diossido, da utilizzare nelle centrali nucleari come combustibile.
“Questo è già fatto?”
“Ma no, vedi che è quasi vuoto.”
Un malinteso, una distrazione, un attimo, un forte lampo blu.
Dove al massimo dovevano esserci 2,3 Kg di materiale ne sono finiti 16 Kg.
In così poco spazio l’uranio si è auto innescato: la reazione a catena è partita.
L’uranio è “esploso”, non era mai successo prima, questo materiale può “esplodere” se ce n’è troppo in poco spazio, ma chi mai l’avrebbe detto!


Non si può certo caricare sulle spalle dei tre poveri operai di Tokai tutta la responsabilità di quello che è successo, ma è importante capire per imparare la lezione.
L’uranio è un materiale altamente pericoloso perché se raggiunge la massa “critica” auto innesca la reazione a catena, che continua a crescere.


In un reattore questa reazione è tenuta sotto controllo con materiali, come la grafite, che assorbono le particelle in eccesso e non permettono che la reazione cresca in modo incontrollato.


Ma qui la reazione è in ambiente libero, e cresce, e cresce, e continuerà a crescere, e bisogna far presto per fermarla, altrimenti ……¨C13C Intanto la popolazione viene segregata in casa, i più vicini all’impianto evacuati altrove, ma sono tutti rimedi temporanei, non serviranno se la reazione continuerà a crescere.¨C14C 100 volte, 1.000, 4.000, 15.000, 40.000 volte il livello di base: bisogna fare presto!


Arrivano le forze speciali, con le apposite tute e tutto l’occorrente, ma non riescono neppure ad avvicinarsi agl’impianti, dato l’elevato livello di radioattività.
Ed intanto siamo quasi arrivati ai livelli dove la reazione non può più essere fermata in alcun modo.


Bisogna che qualcuno si sacrifichi.
Ormai la radiazione è troppo alta, ci vogliono nove squadre di due persone, perché nonostante le tute protettive non si può rimanere in quell’inferno per oltre tre minuti.
Ed in ogni caso queste persone rimarranno contaminate, per sempre.


Ma non c’è alternativa, non c’è scampo, i diciotto volontari saltano fuori, e come se fossero dei pompieri si alternano nell’impianto a spandere sull’uranio impazzito quei prodotti chimici che assorbono le particelle, che “spengono” la reazione a catena.


La radioattività si stabilizza, poi inizia a calare, poi decresce velocemente: è fatta, il circolo vizioso è stato interrotto.
Ora inizierà la solita caccia alle streghe, la ricerca dei colpevoli, ma questo interessa solo ai politici, che devono salvare la faccia.


Quanto è successo, in un paese come il Giappone, dove l’ordine e la disciplina sembrano regnare sovrani, dove i treni spaccano il secondo, dove la tecnologia è un mito, è un monito per tutto il mondo.

Non si può, non si devono creare le condizioni per arrivare a queste situazioni estreme: il progresso, che in fin dei conti è solo economico, visto che i soldi condizionano la scienza, la tecnologia e la politica, non può essere una motivazione valida per accettare qualsiasi compromesso.


In Giappone è successo un evento che poteva capitare in USA, o in Francia, o in Germania, o in Russia, o in qualsiasi altro paese dove si usa l’uranio.